Tra i vitigni autoctoni del Piemonte c’è sempre qualcosa da scoprire !
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Ho avuto l’occasione di partecipare all’approfondimento organizzato dall’AIS PIEMONTE con sede a Torino intitolato “Piemonte : radici, grappoli, identità e gloria”, un full immersion sui vitigni autoctoni piemontesi a bacca rossa.
Gli incontri si sono suddivisi in 7 serate a tema : barbera, grignolino, dolcetto, freisa, nebbiolo sud piemonte, vitigni rari, nebbiolo nord piemonte.
Per ogni serata sul mio profilo Facebook [link] ho riportato a caldo le mie impressioni sul tema proposto postando le fotografie che ritraevano le bottiglie degustate completandole con una mia breve analisi organolettica dei vini in degustazione.
In questo articolo trascrivo fedelmente tutti i miei post dei sette appuntamenti per coloro che hanno il piacere di farsi una carrellata di ottimi vini piemontesi.
Purtroppo al settimo e conclusivo appuntamento, per una serie di concause ancestrali, non sono riuscito a partecipare ma riporto comunque i vini degustati nella serata.
Buona lettura.
- BARBERA
Questa è la batteria, i primi 4 sono solo acciaio, gli altri passaggio in legno da sinistra verso destra :
- Barbera d’asti la Villa 2016 Olim Baudà, acciaio;
- Barbera d’Asti L’avvocata 2016, acciaio;
- Barbera d’Asti Palàs Michele Chiarlo, acciaio;
- Barbera d’Asti Bosco Donna Gianni Doglia, acciaio;
- Barbera d’Asti La Grisa 2015 Spertino, legno;
- Barbera d’Asti superiore Mongovone 2015 Elio Perrone, legno;
- Barbera d’Asti Monte Bruna Braida monte bruna, legno;
- Barbera d’Asti superiore Alfiera 2015 Marchesi Alfieri legno;
- Barbera d’Asti superiore Bionzo 2014 La Spinetta, legno.
Tra quelli in acciaio il n°2 è quello che ho più gradito, rispecchiava tutti i canoni di una barbera strutturata ma dalla buona beva, tanto frutto e naturalmente tanta freschezza tipica di questo vitigno.
Tra gli affinati in legno ho apprezzato il n° 6 per la sua buona trama strutturata con un legno meno evidente rispetto al resto delle bottiglie in esame che invece ho trovato troppo presente.
La n°8 è la barbera d’Asti che secondo me maturerà meglio.
Faccio notare che il livello delle bottiglie in degustazione era molto uniforme, sia tra gli affinati solo in acciaio che fra i vini che hanno fatto un passaggio in botte .
Unica pecca, a mio parere, è stata il non aver proposto la diversità territoriale con alcuni campioni di barbera d’Alba e sopratutto mancava nella selezione la nuova Docg Nizza, ma di quest’ultima denominazione garantita ammetto che è un mio pallino personale, tant’è che vorrei una rappresentanza del Nizza ad ogni evento con protagonista la barbera .
- GRIGNOLINO
Alla riscoperta di un vitigno da sempre presente in Piemonte.
Grazie all’approfondimento organizzato dall’ Ais Piemonte abbiamo avuto modo di confrontare diversi modi di vinificazione del Grignolino.
Per quel che mi riguarda il riscontro è stato illuminante.
Al confronto 9 Grignolino, i primi 5 vinificati solo in acciaio, i restanti affinati in botti di legno
Da sx verso dx in foto. I primi 5 solo acciaio.
- Grignolino d’Asti Luigi Spertino 2017, acciaio;
- Grignolino d’Asti Suffragio 2016 Stella, acciaio;
- Grignolino d’Asti 2016 Dacapo, acciaio;
- Grignolino d’Asti Aresca 2016, acciaio;
- Grignolino Del Monferrato Casalese S.Sebastiano 2016 Castelli di Uviglie, acciaio;
- Grignolino del Monferrato Casalese Tenuta Migliavacca 2016, legno;
- Grignolino del Monferrato Casalese Monte della Sala 2015 Gaudio – Bricco Mondalino, legno;
- Grignolino del Monferrato Casalese Uccelletta 2013 Vicara, legno;
- Grignolino del Monferrato Casalese Bricco del Bosco Vigne Vecchie 2012 Accornero, legno.
Bellissimo il colore rosso rubino simile ad un rosato cerasuolo del giovanissimo n° 1, il quale promette una grande eleganza.
Secondo me il migliore in acciaio è il n° 3 è dotato di un buon naso con sentori agrumati e floreali come il giranio, erbaceo con una nota di pepe, in bocca equilibrato con tendenza verso le durezze per via del caratteristico tannino ruvido del Grignolino.
Quelli affinati in legno a me risultano strani perché conosco poco il Grignolino in questa veste.
Da segnalare il biodinamico n° 6 con sentori nitidi di incenso e note erbacee però, a mio parere, ha più complessità il n° 8 che preferisco fra tutti quelli maturati in legno perché nonostante il passaggio in botte mi ricorda meglio le caratteristiche del varietale.
Il più strano è il n° 9, con note gusto-olfattive di affumicato, dopo la mescita il vino si apre col passare del tempo diventando sempre più gradevole.
Nel complesso tutti i vini sono di buon livello e raccontano bene le varie espressioni del Grignolino.
- DOLCETTO
Continua il viaggio tra i vitigni piemontesi organizzato nella sede torinese dell’AIS Piemonte. Protagonista della serata è stato il Dolcetto.
Oltre agli ottimi e competenti relatori Roberto marro, Maurizio Petrozziello, Matteo Monchiero e all’onnipresente coordinatore Mauro Carosso, era presente come Guest Star dell’avvenimento l’enologo ” dolcettista ” Giuseppe Caviola che ha raccontato pregi e difetti del vitigno.
In assaggio 10 espressioni del dolcetto, i primi 6 affinamento solo acciaio, i restanti 4 botte di legno.
Da sx nella foto :
- Dogliani Poderi Luigi Einaudi 2017, acciaio ;
- Dolcetto di Diano D’Alba Bricco Maiolica 2016,acciaio ;
- Dolcetto D’Alba Vilot 2016 Ca’ Viola, acciaio ;
- Dogliani Papà Celso 2016 Marziano Abbona, acciaio ;
- Dogliani Cursalet 2015 Gillardi, acciaio ;
- Dogliani Superiore Maioli 2015 Anna Maria Abbona, acciaio ;
- Dogliani La Costa 2015 Chionetti, botte ;
- Dolcetto D’Alba Barturot 2015 Ca’ Viola, botte ;
- Dolcetto D’Alba Superiore Gamvs MMXXII 2015 Mossio, botte ;
- Dogliani Superiore Vigna Del Ciliegio 2013 Boschis Francesco, botte.
La principale constatazione è stata l’affinità tra i vari vini degustati. Molto simili tra loro quelli realizzati in acciaio così come fra quelli affinati in legno. Ciò vuol dire che la territorialità non incide moltissimo, come ha ben argomentato Giuseppe Caviola, e i vini presenti sono stati ben interpretati dai produttori, tutti nitidi, precisi e soprattutto molto gradevoli.
Si sono discostati dalla similarità il n. 1 tra i vinificati in solo acciaio perché era molto giovane ed appena uscito di cantina, e tra gli affinati in legno il n. 9 il quale è stato interpretato in modo diverso dal resto del campione.
Ad unanimità tra i presenti sono stati decretati degni di nota il n. 3 – 6 tra i vinificati in solo acciaio, n° 7 – 8 in legno.
Io mi accodo ma, ad essere sincero e (lo ammetto) poco obbiettivo, dopo aver bevuto il più giovane n° 1 mi sono perso nei miei ricordi di quando ero bambino, quando gli zii producevano solo per uso famigliare il dolcetto. Quei profumi freschi che mi sono rimasti dentro mi hanno travolto. Anche il gusto, con ancora un tannino crudo ma pur sempre gentile, mi ha riportato a quando ero ragazzino; allora c’era l’abitudine di prendere le damigiane di dolcetto ( dagli zii ), la barbera ( l’anno successivo si prendeva una damigiana più piccola ), il nebbiolo ( l’anno dopo non se ne prendeva affatto ), l’arneis ( piccola ) e il cortese ( piccola ), ebbene, la prima damigiana ( dolcetto ), ancor prima dei bianchi, si faceva fuori subito, non arriva mai all’anno nuovo…
Ho riscontrato come nella serata della barbera una certa uniformità tra i campioni presentati, anche in questo caso non sarebbe stato male degustare dolcetti di altre espressioni territoriali come la Docg Ovada.
- FREISA
Si è giunti al quarto appuntamento organizzato dall’ AIS Torino sul tema “i vitigni piemontesi”, ed io continuo a condividere i miei appunti sulle degustazioni.
Protagonista della serata è il vitigno che si è scoperto essere geneticamente il **papà o la mamma del grande Nebbiolo : sto parlando della FREISA, perciò ragazzi, massimo rispetto. ** corretta corrige: il Nebbiolo è genitore della Freisa.
A parlare del vitigno, come esperto aggiunto ai relatori fissi, è il prof. Vincenzo Gerbi, professore di Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università di Torino, il quale ci accompagna nel mondo della Freisa esponendo gli studi compiuti sul vitigno nel vigneto dell’Istituto Bonafous sito nel comune di Chieri .
I risultati dello studio compiuto dal professore confermano la personalità della Freisa, se il vitigno è impiantato in terreni adatti alla viticoltura e contestualmente accompagnato da alcuni accorgimenti durante i procedimenti di vinificazione ( ad esempio la svinacciolatura ), i ceppi di freisa danno certamente degli ottimi risultati.
Elenco delle 10 freisa a confronto ( ottimo livello ) da sx nella foto :
- Freisa di Chieri 2017 Balbiano, acciaio ;
- Colli Tortonesi Freisa L’Avvelenata 2011 Vigneti Massa, acciaio ;
- Freisa d’ Asti Il Forno 2015 Cascina Gilli, acciaio ;
- Monferrato Freisa 2016 Tenuta Migliavacca, legno ;
- Langhe Freisa 2016 Rinaldi, legno ;
- Langhe Freisa 2015 Cavallotto, legno ;
- Freisa di Chieri Sun Sì 2014 Stefano Rossotto, legno ;
- Freisa di Chieri Villa Della Regina 2014 Balbiano, legno ;
- Langhe Freisa Kyè 2014 Vajra, legno ;
- Freisa D’Asti Bugianen 2013 Capello, legno ;
Come è consuetudine, le impressioni che riporto, sia personali che collettive, sono raccolte a bottiglie coperte, quindi solo dopo la discussione si rendono note le aziende produttrici.
Chi mi segue su questo mio blog vinoamoremio.it avrà capito che adoro ( se ben pensati e ben realizzati ) i vini definiti ” facili ” da pronta beva, ovvero giovani, profumati e versatili. Sono i vini adatti alla convivialità che si abbinano bene ai pasti, d’altronde il vino è nato per accompagnare il cibo, e poche sono le tipologie di vino adatte al consumo solitario, da meditazione.
Dopo questa premessa non posso far altro che segnalare la bottiglia n° 1 la quale contiene una Freisa piacevolmente vivace, profumata al punto tale che alcuni hanno scherzosamente ipotizzato che si trattasse di un vitigno aromatico.
Sorprendente la n. 2. Complesso al naso con note affumicate e marmellata di ciliegia e more, alla bocca ben bilanciato, e ripeto, sorprendente per un vino vinificato in solo acciaio nella lontana annata 2011.
La n. 5 di primo impatto, all’olfatto sembra poco intenso e poco complesso ma col passare del tempo diventa sempre più gradevole, mentre in bocca si sente subito l’ottima struttura con una buona persistenza, complessivamente lo reputo tra i migliori della serata soprattutto in prospettiva pensando a come potrà evolversi.
Diverse da tutte le altre Freisa le sensazioni del n. 6, probabilmente il terreno nel quale è stata impiantata la vigna ha donato sensazioni erbacee al vino, qualcuno le ha definite anche mentolate o ancora di terra bagnata, io ho percepito una nettissima nota di asparagi, nel complesso è una gradevole variante del vitigno.
Il confronto si conclude con un bel finale in crescendo con le ultime due bottiglie n. 9 e 10, in esse sono evidenti i passaggi in botte con note vanigliate e caramellate, racchiudono tutte le sensazioni tipiche del vitigno che ho citato nelle precedenti descrizioni del vitigno ( una in particolare, suggerita dal prof. Vincenzo Gerbi, è l’inchiostro della penna stilografica ), tutti e due i vini hanno una buona persistenza e di una struttura fine ed elegante.
- NEBBIOLO DEL SUD PIEMONTE
L’approfondimento dei vitigni rossi del Piemonte organizzato dall’AIS Torino è arrivato al momento più atteso per molti dei partecipanti, si parla e si degusta il Re dei vitigni piemontesi : il nebbiolo.
Il focus è concentrato sui nebbioli del Sud Piemonte, il territorio più famoso con i tanti Cru delle Langhe e del Roero.
Riporto sinteticamente ciò che si è illustrato sul famoso vitigno a bacca rossa ed espongo le considerazioni sulla degustazione condivise dai presenti alla serata.
Storicamente il nebbiolo è un vino che si è sempre distinto dagli altri per la sua caratteristica longevità.
La storia sulla diffusione del vitigno in Piemonte inizia dal lontano 1200 con i primi documenti trovati sulle colline torinesi. Più avanti nel tempo i Savoia si accorsero del grande potenziale e lo considerarono al pari del pinot nero francese dell’epoca.
L’allevamento del vitigno è difficile, ancor più del sopracitato pinot noir, questo ne spiega il difficile ambientamento del nebbiolo all’infuori del Piemonte. In questa nostra regione italiana il nebbiolo trova un clima ed un terreno perfetto per produrre il miglior frutto possibile e vinificarlo con nuove e vecchie tecniche enologiche.
“Michet”, “Lampia”, “Rosé” e “Bolla” sono le quattro sottovarietà, tra di esse l’unica che si distingue nettamente dalle altre è il Rosé, infatti si sta valutando se certificarla come Varietà Nebbiolo Rosé.
Come è noto il vitigno ha una maturazione tardiva, normalmente la vendemmia viene effettuata a fine ottobre, addirittura nel 2004 si è vendemmiato intorno al 10 di novembre ed è stato un bene perché si è prodotto un vino eccezionale.
L’enologo Gianfranco Cordero, chiamato a raccontare i metodi più utilizzati per realizzare i vini da uve nebbiolo, puntualizza sul momento più delicato dell’intero ciclo di vinificazione, il periodo prima della vendemmia : la maturazione dell’acino.
Infatti la difficoltà maggiore è stabilire l’occasione migliore per la raccolta delle uve.
Nel nebbiolo si ha la difficoltà nel far combaciare la maturazione tecnologica ( quantità ottimali ed equilibrate di zuccheri e acidi ) con la maturazione fenolica ( quantità ottimali ed equilibrate di antociani e tannini). Spesso capita che viene raggiunta la maturità tecnologica e non quella fenolica e scoprire che i vinaccioli sono ancora “verdi”, un evidente segno che i tannini sono troppo galoppanti. Estremamente delicata è la fase di diraspatura e pigiatura attraverso i macchinari di riferimento, i quali non devono rompere le parti che contengono un tannino aggressivo, ad esempio il rachide del nebbiolo si spezza facilmente e provocano al vino un forte senso di astringenza.
La degustazione:
nei bicchieri vengono versati in ordine casuale con l’etichetta coperta tre barbaresco, tre barolo, tre roero.
Riporto i vini proposti da sx verso dx in foto :
- Barbaresco 2015 Castello di Neive;
- Roero Riserva Pinti 2014 Monchiero Carbone;
- Barolo Monvigliero 2013 Bel Colle;
- Barbaresco Rabajà 2015 Giuseppe Cortese;
- Roero Riserva Ròche d’Ampsèj 2013 Matteo Correggia;
- Barolo Sorì Ginestra 2012 Conterno Fantino;
- Barbaresco Rizzi 2014 Rizzi;
- Roero Riserva Renesio 2009 Malvirà;
- Barolo Villero 2013 Oddero;
Durante la degustazione si gioca a riconoscere i tre territori e i relativi vini.
Riconosco il n° 1 come barbaresco e indovino il n° 7 sempre come barbaresco, mentre non riesco a distinguere nettamente tra barolo e roero, segno che ho ancora molto da imparare e, per fortuna, ho molto ancora da bere.
Penso di aver individuato il barbaresco perché ha dei profumi più netti ed intensi, invece nel barolo e roero sono più nascosti ma certamente affioriranno più avanti nel tempo.
Il n° 1 è un barbaresco con profumi intensi ed un tannino molto presente data la giovane età, lo trovo comunque gradevole.
L’etichetta n° 2 presenta una nota di affumicato che nel resto dei campioni non percepisco, lo stesso sentore lo avverto con il n° 6 con una nota mentolata e di smalto, invece nel n° 7 distinguo una maggiore freschezza rispetto agli altri vini.
I più apprezzati dai partecipanti sono il n°5 ed il n° 9 ed effettivamente sono due vini complessi e molto equilibrati.
Il n° 8 appena versato nel bicchiere risulta all’esame olfattivo e gustativo nettamente diverso dal resto della batteria, mentre il tempo scorre cambiano le sensazioni ma comunque rimane differente dalle altre bottiglie.
- VITIGNI RARI
Rara e unica è stata la sesta serata organizzata dall’ Ais Piemonte ( ottima iniziativa assolutamente originale ) con a tema i vitigni minori e rari del Piemonte.
Verosimilmente, molte di queste viti degustate non ne avrò mai più l’occasione di assaggiale nella mia vita perché, probabilmente, saranno destinate a scomparire dalla faccia della terra, c’è comunque la speranza che in qualche modo vengano totalmente recuperate e portate alla ribalta, ed il modo più semplice perché ciò avvenga è quello di parlarne il più possibile, raccontando la storia di ognuna di esse.
Un grande contributo per preservare le viti in via d’estinzione è la Collezione di Grinzane Cavour, conserva vitigni minori e rari che comprende 550 accessioni, di cui 450 rari e rarissimi.
Sono stato contento ed entusiasta della serata.
Di alcuni vitigni degustati non sapevo nemmeno dell’esistenza, addirittura si è testato un vino prodotto da un vitigno talmente raro che non se ne sa nemmeno il nome.
Ad immergerci in questa serata è la ricercatrice Anna Schneider del CNR Istituto per la protezione sostenibile delle piante di Torino.
Questa fantastica regione piemontese, fatta di materie prime (vitigni autoctoni e territoriali) e uomini, non solo è capace di esaltare vitigni ormai famosissimi nel mondo ma riesce, grazie ad alcuni tenaci viticoltori, a preservare viti dalle limitatissime produzioni. Alcuni di essi non sono nemmeno iscritti al registro nazionale, per cui non possono essere coltivati da un’ azienda agricola ma soltanto (semplificando) da “amatori” con un pezzo di terreno e qualche filare di tali viti.
La dottoressa Anna Schneider ha spiegato il duro lavoro che viene svolto dal CNR per determinare la provenienza di un vino e selezionare ogni singolo vitigno attraverso sofisticate tecniche come ad esempio l’enologia varietale.
L’enologia varietale è la tracciabilità genetica, ovvero la ricerca dell’origine genetica delle uve nei mosti e nei vini: in altre parole, la possibilità di determinare il vitigno (o i vitigni) che rientrano nella composizione di un certo vino.
La selezione dei vitigni bianchi è stata a parer mio la più interessante. Rarissimi vitigni sconosciuti (per me di sicuro) con profumi e sapori che non avevo mai riscontrato fino ad ora, nessuno di essi, tranne uno, era somigliante ad un vitigno conosciuto alla maggior parte del pubblico appassionato di enologia.
La batteria dei bianchi sono le prime 5 bottiglie in foto da sx verso dx :
1 ) vitigno Rossese Bianco, Rossese Bianco 2015 La castella, di Roddino;
2 ) vitigno Bian Ver, Ver Bian 2016 Autin, di Barge;
3 ) vitigno senza nome, La Misteriosa 2014 Fonte Cuore;
4 ) vitigno Baratuciat, Preja 2017 Enrico Druetto, di Almese;
5 ) vitigno Malvasia Moscata, Blanc de Lissart 2016 Le Marie, di Barge;
La bottiglia n° 1 aveva dei profumi poco intensi ed al gusto era morbido.
Il vino n° 2 il Bian Ver è un vitigno alpino identico alla Verdesse francese. Si distingue dal colore verdolino e dall’alta alcolicità ed acidità. il vino in degustazione era originario del pinerolese precisamente di Barge. E’ stata una piacevole sorpresa, ho scoperto sentori olfattivi e gustativi mai provati prima, alcuni indefinibili, uno di questi in particolare l’ho associato ad un ammorbidente che utilizzo per la biancheria, è stato un vino che ho molto apprezzato per la buona complessità sia olfattiva che gustativa.
La misteriosa n° 3 è un vitigno che è stato scambiato per anni per picolit ma è originario del canavese. La bottiglia proposta aveva qualche anno, nonostante tutto i profumi erano intensi ed in bocca risultava ancora equilibrato, anche se, secondo me, era nella fase discendente della sua evoluzione.
Il vino n° 4 , originario della Val Susa, ha suscitato curiosità specie per il nome Baratuciat che letteralmente significa “testicolo di ratto”, mi è sembrato un buon vino da pronta beva forse ancora un po’ spigoloso. Anche questo vino di Almese è stato uno dei miei preferiti.
L’ultimo bianco della serie, il n° 5, era il più riconoscibile e accostabile al moscato che conosciamo, da tutti i presenti è stato giudicato migliore di tanti moscati che vanno per la maggiore in circolazione.
La selezione dei rossi era formata da vitigni a me più noti, ciò che non avevo mai assaggiato era la 9 Slarina e 10 Gamba di Pernice.
Continua da sx in foto iniziando dalla sesta bottiglia :
6 ) Vitigno Pelaverga Piccolo, Basadone 2016 Castello di Verduno;
7 ) vitigno Ruchè, Ruchè di Castagnole Falletto 2016 Tenuta Montemagno;
8 ) vitigno Vespolina, Colli Novaresi Favola Lunga 2016 Boniperti;
9 ) vitigno Slarina, Rovej 2017 Enrico Druetto ;
10 ) vitigno Gamba di Pernice, Gambadipernice Tenuta dei fiori Valter Bosticarto 2012;
11 ) vitigno Albarossa, Albarossa 2015 Castello di Neive;
Il vino n°6 era riconoscibile dal colore rosso rubino chiaro (tipo nebbiolo) e dalle note speziate e di pepe. Un vino equilibrato che ho gradito.
La bottiglia n° 7 presentava profumi di pesca e note speziate, si percepiva la caratteristica aromaticità, anche questo vino l’ho apprezzato particolarmente.
N° 8 aveva un naso floreale, un colore rosso rubino e si percepiva un tannino morbido.
Il vino n° 9 aveva sentori di mirtillo, ribes nero e una presenza tannica pronunciata rispetto al resto dei campioni.
Un poco sottotono il n 10, nel complesso era comunque apprezzabile.
Un colore intenso rosso rubino era la n° 11 con una grande freschezza. Il produttore presente in sala ha confermato l’alto contenuto di sostanze pigmentate e di acidità del vitigno, tanto colorato da definirlo paradossalmente il loro “rosato”, infatti, pur avendo un colore rubino intenso, il vino viene vinificato come un rosé per estrarre meno sostanze pigmentate.
I presenti all’incontro hanno apprezzato in particolar modo la n° 2 – 4 – 5 – 6 – 11
È stata davvero una bella esperienza.
- NEBBIOLO DEL NORD PIEMONTE
Come ho annunciato all’inizio dell’articolo non ho potuto partecipare all’ultimo incontro, comunque sia, per completezza, riporto l’elenco delle bottiglie presentate :
- Lessona 2013 Spertino,
- Boca 2013 Sergio Barbaglia,
- Ghemme Ai Livelli 2013 Mazzoni,
- Gattinara riserva 2012 Travaglini,
- Gattinara Vigna Molsino 2011 Nervi,
- Ghemme Collis Breclemae 2010 Vigneti cantalupo,
- Boca 2009 Le Piane,
- Lessona S. Sebastiano Allo Zoppo 2009 Tenute Sella.