Riduzione – tappo a vite: correlazione falsa, parola di Gianluca Morino e Paolo Lucchetti
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E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. (Per un pugno di tappi)
Sono un appassionato sommelier e un osservatore del mondo vitivinicolo sempre alla ricerca di ulteriori nozioni oltre ai fondamentali che ho imparato all’ AIS, di conseguenza la mia curiosità molte volte è gratificata incontrando e bevendo vino con altri appassionati o viticoltori, oppure trovo informazioni interessanti navigando tra le varie discussioni nelle pagine Facebook dedicate al vino o attraverso i profili di giornalisti del settore e produttori su Twitter o Instagram.
Gli argomenti che mi appassionano sono quelli meno popolari, non perché sia altezzoso, tutt’altro, ma quando un tema è stato sviscerato in mille post non si ha più nulla da dire e rimangono a parlare della stessa questione i noiosi che si fossilizzano per mancanza di idee e gli ottusi che continuano a dirne contro.
In verità spesse volte nel mio blog mi occupo del vino “popolare” che paradossalmente è il meno dibattuto tra i tanti winelovers però è preso sottogamba anche dagli esperti enofili.
Ho a cuore diverse questioni sulle quali ho speso molte parole in articoli riguardanti il vino al supermercato [Link], le cantine sociali [Link], i piccoli produttori con grandi potenzialità [Link], il confezionamento del vino come il bag in box [LInk] e i sistemi di chiusura delle bottiglie di vino.
Un dibattito frequente in rete è la disputa fra i sostenitori del tappo di sughero e quelli del tappo a vite.
La contesa si spacca in due fazioni, tra chi pensa che l’unico metodo sicuro e garantito per chiudere una bottiglia di vino sia solo il tappo di sughero, in contrapposizione invece c’è chi sostiene che sulla bottiglia si può tranquillamente usare il tappo a vite (screw cap in inglese) detto anche chiusura Stelvin.
Un giorno, navigando su facebook, ero immerso in una delle tante discussioni sul dibattito poc’anzi descritto (sono un sostenitore della chiusura a vite) e sono intervenuti due vignaioli molto noti ai winelovers internauti, due produttori pronti a discutere su ogni argomento dedicato al vino e ovviamente, essendo loro degli utilizzatori della tecnologia screw cap, difendono a spada tratta il loro operato.
La polemica sull’efficienza del tappo nel social ha quasi sempre le stesse dinamiche e le tesi sostenute tra i “contendenti” ormai le conosco quasi a memoria e puntualmente tra chi difende il tappo di sughero esordisce con la frase che ho sempre ritenuto attendibile “eh, ma c’è un forte rischio che un vino chiuso col tappo a vite abbia un difetto di riduzione, anzi è molto probabile” ed è stato a quel punto che sono comparsi nella chat Gianluca Morino e Paolo Lucchetti.
Con il loro intervento ho scoperto qualcosa che non sapevo poiché non sono un produttore – uno che fa il vino e con vendemmie alle spalle -, hanno in effetti portato in campo una posizione sul rapporto tra riduzione e screw cap che mi ha fatto ricredere sulla discussa correlazione, soprattutto perché credo che sia indiscutibile l’attendibilità di due laureati in enologia.
Ho deciso quindi di fare chiarezza sul tappo a vite e raggiungere al telefono in momenti diversi i due produttori per fare con loro una chiacchierata inserendo nel dialogo delle domande e alcune di esse le ho proposte ad entrambe.
Dopo questa premessa avverto che l’*articolo prosegue con spiegazioni semplificate sulla tecnologia del tappo a vite accompagnate talvolta da dati tecnici, ho fatto questa insolita scelta perché voglio dar seguito alle semplificazioni e agli “slogan” pro screw cap; dunque:
“ E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. (Per un pugno di tappi) ”
A coloro che non riescono a reggere più 800 parole, suggerisco di scorrere in fondo sino a leggere un elenco numerato che si riferisce ad alcune mie impressioni.
Di seguito espongo un sunto delle telefonate sovrapponendo i contenuti, prima però presento brevemente chi sono e cosa fanno i due protagonisti della conversazione.
– Gianluca Morino (GM) : è il titolare dell’azienda di famiglia “Cascina Garitina” a Castel Boglione in provincia di Asti. Gianluca è stato il primo presidente dell’associazione produttori del Nizza, grazie alle sue iniziative e alla sua visione proiettata sempre verso il futuro, oggi il suo territorio non è più identificato con il nome di un vitigno (Barbera d’Asti) ma con una nuova DOCG: Nizza. La sua produzione in Cascina Garitina è solo di vini rossi ed esclusivamente proveniente dai propri vigneti i quali sono suddivisi tra Barbera (Docg Nizza) in primis 85% e un restante 15% tra pinot nero, merlot, cabernet sauvignon, dolcetto e brachetto. Per saperne di più sul suo conto vi consiglio di leggere un mio articolo [Link] .
– Paolo Lucchetti (PL) : Paolo laureato in enologia conduce la cantina di famiglia insieme a suo padre fondatore di “Azienda Agricola Mario Lucchetti” sita in Morro d’Alba. Azienda marchigiana che ha portato avanti nel tempo le ottime peculiarità del Lacrima di Morro d’Alba vinificandolo in diverse declinazioni dal DOC Lacrima di Morro d’Alba a tutto pasto, alla versione Riserva e poi Passito, fino ad arrivare allo Spumante brut Rosè. L’altro vino di casa Lucchetti è il DOCG Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Il tappo a vite GM lo sceglie dieci anni fa quando si è convinto del beneficio che avrebbe apportato ai suoi vini nel momento in cui si è interessato alla nuova tecnologia brevettata dalla Korked perciò inizia e sperimenta l’utilizzo dello screw cap con questa azienda ed altrettanto ha fatto Paolo Lucchetti 5 anni fa con la medesima ditta produttrice di tappi.
Entrambi hanno cercato questa soluzione per ovviare alle imperfezioni che arreca al loro vino il tappo tradizionale di sughero.
Il tappo di sughero provoca diversi problemi mi riferiscono i due vignaioli, oltre al più macroscopico difetto riconducibile al TCA (tricloroanisolo) – cioè quando il vino sia al naso che al palato “sa di tappo” – è l’inaffidabilità della prestazione del sughero che provoca ulteriori devianze al vino.
Si presume che un lotto di tappi di sughero sia tutto uguale ma di fatto non è così “ Se si aprono 5 vini dello stesso lotto di produzione tappate con lo stesso stock di sughero – afferma Lucchetti – e le si confrontano a distanza di 18 mesi, vedrai che almeno una o due bottiglie hanno caratteristiche diverse dalle altre, la stima si avvicina a un 10% di bottiglie che hanno problematiche legate al tappo di sughero arrecando delle devianze di varia natura al vino ”.
“ La permeabilità del sughero – continua PL – per ora non è controllabile al 100% anche se ad onor del vero ultimamente le ditte produttrici stanno cercando di migliorare le capacità performanti del sughero”
Dello stesso avviso è anche Gianluca Morino il quale riconosce un avanzamento nella tecnologia da parte delle aziende di sughero “ i produttori stanno scegliendo dei sugheri di altissima qualità molto costosi che hanno la caratteristica di avere un peso ponderale molto alto (sono più consistenti, hanno più sughero e meno aria), un sughero nato in zone siccitose e quindi hanno gli anelli più “piccoli”, praticamente hanno un passaggio di ossigeno molto molto basso perciò sono adatti a vini che sostano a lungo in cantina”.
Dalle informazioni che ho appreso dai miei due interlocutori tutto il dibattito sulla riduzione del vino a causa del tappo a vite non ha motivo di esistere perchè il difetto si presenta prima della chiusura del vino in bottiglia o per essere più precisi, una chiusura ermetica potrebbe provocare una riduzione perché non si è lavorato bene in cantina e non si ha la giusta padronanza della tecnologia della chiusura a vite.
La questione la chiarisce bene il titolare di Cascina Garitina “è un problema vecchio, molto meno attuale rispetto a qualche anno fa dove il tappo a vite era una chiusura più ermetica tanto da limitare al minimo il passaggio di ossigeno ma che comunque era, ed è tuttora, prevenibile nelle fasi di vinificazione e affinamento precedenti all’ imbottigliamento. Oggi esistono dei tappi a vite dotati di più membrane che fanno passare quantità diverse di ossigeno per cui si ha a disposizione un’ampia scelta, però ciò che è ancora più importante – continua Gianluca Morino – è la quantità certa di passaggio di ossigeno che permettono i diversi tappi, e mi riferisco alle membrane della Korked”
Per capire bene per quale motivo si gioca tutto sul passaggio di ossigeno in bottiglia, bisogna fare un passo indietro e comprendere come si forma il difetto della riduzione.
Sintetizzando le parole di entrambi i vignaioli, si può affermare che ogni vino ha un equilibrio ossido riduttivo, significa che nel vino ci sono sostanze come i metalli o i tannini che hanno la capacità di assorbire ossigeno e quindi tendono alla riduzione, d’altrocanto ne esistono altre che liberano ossigeno e di conseguenza queste sostanze vertono verso l’ossidazione. Uno dei tanti segreti di un bravo enologo risiede nel trovare un equilibrio tra le eventuali riduzioni e il rischio delle ossidazioni, in altre parole nel saper dosare l’ossigeno nel vino.
Occorre fare una distinzione generica tra vini rossi che hanno la tendenza a ridursi e i bianchi che al contrario sono più soggetti alle ossidazioni e naturalmente ci sono molti vitigni rossi e bianchi che hanno caratteristiche diverse, non è un mistero che con alcuni cultivar si va a cercare addirittura un po’ di riduzione, come ad esempio lo si potrebbe fare per un riesling oppure un per pinot noir, due vini che si giovano di essere abbastanza “chiusi” perché alcuni profumi nascono solo in riduzione senza sfociare però nelle tipiche puzze di ridotto legati agli inconfondibili sentori di cavolo o uovo marcio.
Ci sono due forme di riduzioni, una biologica che si presenta tendenzialmente durante la fermentazione alcolica, processo nel quale i lieviti consumano azoto (N) prontamente assimilabile e se nel caso non ci fosse abbastanza N il lievito per non morire va con i propri enzimi a rompere le proteine per approvvigionarsi nelle stesse di azoto, però così facendo la proteina libera delle sostanze che danno il classico odore di riduzione.
La seconda situazione si può verificare durante la fase di affinamento dove il vino contiene una certa quantità di fecce le quali, purtroppo o per fortuna, assorbono ossigeno e il vino tende ad andare in riduzione, il problema si verifica soprattutto quando vengono utilizzati per l’affinamento vasche d’acciaio o di cemento che non hanno porosità.
Il compito dell’enologo, cantinere, vignaiolo, è quello di assaggiare continuamente il vino per poi accorgersi della leggera riduzione e fare dei travasi all’aria aperta oppure introducendo un’aggiunta di ossigeno tramite un microssigenatore e correggere questo problema ossigenando il vino prima della fase di imbottigliamento.
Con la sua indole perfezionista che si rispecchia anche nelle sue bottiglie (la prima volta che assaggiai le sua produzione notai subito la nitidezza e precisione dei vini) Paolo Lucchetti mi spiega nei particolari la tecnologia dei tappi a vite che utilizza “ Oggi i tappi a vite ti permettono di utilizzare diversi liner (membrana) ovvero delle guarnizioni che vanno tra il collo della bottiglia e il tappo stesso. Fino a pochi anni fa il liner era formato da due soli materiali, il Tin Foil cioè la carta stagnola e il Saranex che veniva utilizzato nel settore dei profumi. Il Tin Foil ha una microporosità molto bassa 0,03 mg/l mese (milligrammi/litro mese) mentre lo Saranex 0,04.
I tappi che utilizzo – continua Paolo Lucchetti – sono un nuovo brevetto con una membrana che permette il passaggio di ossigeno di 0,05 mg//l mese e altre tre tipologie dove per ognuno aumenta il passaggio d’ossigeno, si ha quindi la possibilità di scegliere quale tappo adattare alla conservazione del vino in bottiglia. Di solito per un vino bianco si sceglie un tappo più “chiuso” (meno poroso) e per un vino rosso che normalmente tende a ridursi più di un bianco, si usa un tappo più “aperto”. Bisogna comunque fare delle distinzioni, – prosegue PL – un vino può avere quantità diverse di ossigeno disciolto. Ad esempio un vino rosso come il barolo che ha fatto affinamento in legno (un materiale che permette lo scambio di ossigeno relativamente alto attraverso le doghe) ha bisogno di una chiusura con un liner poco poroso perché il vino ha già in se una buona quantità di ossigeno disciolto, mentre un vino giovane che è stato affinato in una vasca priva di porosità come l’acciaio ha bisogno di essere microssigenato in modo importante per essere subito pronto in tavola dopo pochi mesi di vita.”
Nella conversazione i due produttori si sono soffermati sui benefici che lo screw cap ha sul vino dopo l’imbottigliamento e sul controllo che hanno sulla vita del vino in bottiglia giocando con il rapporto tra solforosa volatile (S02) e il passaggio controllato di ossigeno attraverso le membrane, con questo sistema si scardina definitivamente la convinzione che il tappo a vite non è adatto per i vini a lunga conservazione; infatti, 1mg/l (milligrammo/litro) di ossigeno che entra in bottiglia consuma 3 mg/l di solforosa libera, dunque, rispetto alla solforosa che si introduce si è precisi (al netto di tutte le variabili che subisce una sostanza viva e naturale qual è il vino) su quanto il vino può essere durevole in bottiglia. [In pratica, un tappo che adotta una membrana Saronex con permeabilità di ossigeno 0,03 mg/l mese x 12 mesi equivale a 0,36 gm/l di ossigeno all’anno, ciò vuol dire che in un anno consumerà un 1mg/l di solforosa libera, perciò si carica di 20 – 25 mg di solforosa libera e quel vino – per la proporzione 1mg ossigeno consuma 3 mg di solforosa – avrà almeno 25 anni di vita.]
GM aggiunge ancora sulla S02 “con la chiusura a vite la solforosa in bottiglia rimane molto più allungo rispetto ad un vino tappato col sughero, e la SO2 su alcuni vini tende a dare le sensazioni di riduzione, perciò utilizzando lo screw cap si riduce notevolmente l’immissione di solforosa in bottiglia, un fatto molto importante per i consumatori che sono sensibili al tema dei solfiti nel vino”
Durante le telefonate ho chiesto quali sono i difetti del tappo a vite e ambedue hanno immediatamente risposto che il problema maggiore è il mercato, in particolare sono i rapporti commerciali italiani che non sono preparati al minimo cambiamento, continuano a privilegiare i canoni e le abitudini ormai legati al ‘900, in fin dei conti fanno fatica ad accettare soltanto un aspetto estetico, perché gli addetti ai lavori sanno bene quali sono le performances dello screw cap.
Gianluca Morino afferma “il mercato italiano non è pronto per accogliere questa innovazione però non è detto che tutti debbano usare il tappo a vite, ad esempio è difficile pensare ad un Chateau Petrus senza il tappo di sughero” – e aggiunge – “un difetto tecnico il tappo a vite l’ha avuto oltre 10 anni fa perché la chiusura era quasi ermetica e, come ho spiegato in precedenza, alcuni non avevano capito come utilizzare questo sistema, potrebbe succedere ancora adesso ma avverrebbe per una non corretta vinificazione oppure utilizzando tappi con liner sbagliati per la tipologia di vino imbottigliato”.
Un altro difetto tecnico lo ha aggiunto Paolo Lucchetti “un problema che si sta verificando più frequentemente è legato alla qualità del filetto del collo della bottiglia, la filettatura dove si avvita il tappo potrebbe avere un leggero difetto che si presenta durante lo stampaggio della bottiglia, questo forma una piccola anomalia dal quale permette un passaggio anomalo di ossigeno che potrebbe generare dei vini ossidati, una situazione del genere rimane comunque un caso raro, io in 5 anni con 100.000 vini imbottigliati all’anno ne ho riscontrate 2 o 3 con questo difetto”.
Ho concluso la chiacchierata facendo un’ultima domanda “Quali sono i costi per convertire, non dico tutta ma almeno in parte, la produzione al tappo a vite?
PL: “Ho fatto un investimento importante comprando il macchinario per l’imbottigliamento perchè vedo una prospettiva futura con questo metodo, ma altri piccoli o medi produttori possono tranquillamente fare imbottigliamento mobile affittando il camion e scegliere la chiusura a vite perciò è solo una questione di scelta, il vantaggio più grande è quello dell’affidabilità del prodotto, ho la certezza che tutte le bottiglie di un determinato lotto siano uguali a distanza di anni, questo aspetto risulta premiante nel corso del tempo, si consolida un rapporto di fiducia con i consumatori e aumenta di conseguenza la clientela”
GM: “il costo dell’imbottigliatore è importante però il tappo a vite costa almeno 1/10 in meno di un buon sughero e si ha la certezza del risultato sul vino imbottigliato, infatti è tutto omogeneo e non ci sono differenze tra le bottiglie; oltretutto si puoi fare magazzino di tappi in esubero e si possono utilizzare tranquillamente negli anni venturi, mentre se si avanzano tappi di sughero purtroppo per esperienza personale risulta un grosso problema, si rischia di buttare via tutto il sughero se non si conservano in posto con la giusta umidità e al giusta temperatura, anche se li compri solo 20 giorni prima dell’imbottigliamento gli si deve trovare un luogo adeguato e, francamente, gettare migliaia di turaccioli di sughero che costano 1 euro l’uno non è piacevole, perciò faccio magazzino di screw cap che costano 0,10 euro l’uno e garantiscono un’alta affidabilità e per un’azienda è un risparmio considerevole”
Alla luce di ciò che si è detto durante le conversazioni mi permetto di fare 4 considerazioni:
- Riprendendo le parole dei due interlocutori rispetto al continuo rinnovamento delle tecnologie da parte delle aziende produttrici del tappo in sughero, è ovvio notare che il loro è un tentativo di colmare il gap col screw cap confermando in questo modo le migliori prestazioni della chiusura a vite.
- Richiamando l’affermazione di Gianluca Morino “è difficile pensare ad un Chateau Petrus senza il tappo di sughero” vorrei sottolineare che il turacciolo di sughero fa parte del brand di Chateau Petrus, un marchio costruito sulla tradizione. Se si domandasse di pensare ad un vino dal lungo affinamento con la chiusura a vite, tutti gli interlocutori (in Italia) risponderebbero con un solo nome, Franz Haas. Questa cantina ha creato un brand col tappo a vite e tra 20 – 30 anni sarà impensabile vedere un Sauvignon Franz Haas (vino complesso da tenere in cantina per alcuni anni) con un altro tipo di chiusura.
- penso che le persone più pronte a ricevere in Italia una tecnologia che in altri paesi è ormai diffusa, siano coloro ch abietualmente comprano il vino al supermercato, perché non hanno i preconcetti “dell’appassionato o dell’esperto” ma valutano il vino per quello che è – buono, cattivo, mi piace, non mi piace -, perciò i produttori si dovrebbero convincere ad usare il tappo a vite almeno per la produzione dedicata alla GDO e invadere così i supermarket, assecondando anche la diffusa convinzione (smentita anche in questo *articolo) che lo screw cap sia utile solo per i vini godibili nei primi due anni di vita, le persone si abituerebbero senza accorgersene, in sostanza, si dovrebbe ribaltare la situazione attuale, ridurre ad una parte minoritaria gli esperti nostalgici (potenzialmente già una minoranza rispetto al consumatore generico) così che costoro (gli espertoni) non abbiano più il potere di condizionare i produttori con le loro vecchie certezze. Di questo ne sono convinto.
- Per evitare polemiche inutili, voglio precisare che il fine dei due protagonisti di questo *articolo e di altri produttori, è quello di rendere uguale e controllabile un lotto di vino di una specifica tipologia e di un determinato anno, e non è un tentativo di rendere uguale ogni vendemmia, non è l’industrializzazione l’obiettivo, il vino rimane pur sempre una materia viva, le sue caratteristiche per fortuna variano tra le diverse annate ed esse devono essere interpretate al meglio ogni singolo anno per cogliere ciò che la terra ha saputo esprimere, questo lo si fa con la tecnica, l’esperienza, l’intuizione di un enologo, cantiniere, vignaiolo che sa utilizzare al meglio tutti gli strumenti a sua disposizione.
*articolo: e continuerò a chiamarlo tale, non me ne frega niente se non sono un giornalista, questo pezzo rimane pur sempre un articolo del mio blog
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Salve, ottimo articolo e ben strutturato. Leggo comunque tra le righe una propensione alla propagazione del tappo a vite. Poco importa per me se alla fine il prodotto imbottigliato risulta integro e franco!! Quindi bene lo stesso.
Volevo cortesemente chiedere un paio di delucidazioni:
* cito le sue parole
” il tappo a vite costa almeno 1/10 in meno di un buon sughero” e fin qua tutto ok.
Poi peró, prima delle Sue considerazioni, scrive che il costo di un turacciolo di sughero costa 1 euro, mentre il costo di una capsula di tappo a vite costa 0,10 euro.
Non é la stessa cosa e leggermente fuorviante.
E per finire quando si parla dei benefici del tappo a vite nel vino menzionando il rapporto tra solforosa e passaggio controllato di ossigeno, risulta assente il confronto con i tappi del solito sughero. Quindi é difficile anzi impossibile mettere in paragone i due sistemi.
SalutandoLa rimane sicuramente saldo il concetto per cui i tappi a vite, gestiti sapientemente e con le nuove tecniche e materiali, abbassano drasticamente le problematiche che i tappi di sughero danno e hanno sempre dato dal 900 a questa parte.
Cordialità
Alberto
Sommelier
Grazie Alberto, sono contento che abbia apprezzato. Se ho interpretato bene la sua domanda, deve considerare che il tappo a vite ha anche funzione di capsula. perciò il costo di 0,10 euro è tappo compreso la capsula. per quanto riguarda il rapporto solforosa e passaggio di ossigeno sono la sintesi delle parole di Gianluca e Paolo (io non mi permetterei mai di descrivere passaggi tecnici di un vino non essendo enologo e/o produttore) che nella conversazione hanno accennato a questo rapporto facendo riferimento anche ai tappi di sughero che a loro dire (e penso anche con dati tecnici alla mano, sul sito Korked ci sono delle tabelle di confronto) l’uso di solforosa viene introdotto in dosi maggiori sulle bottiglie tappate col sughero. Si, ho scritto nella premessa nell’articolo di essere palesemente pro screw cap (cit. “(sono un sostenitore della chiusura a vite)”)
Grazie ancora per il suo interesse e per le domande pertineti, spero di esser stato esaustivo, cordiali saluti.